Marcovaldo ovvero le stagioni in città, Italo Calvino

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Nihon no musume
CAT_IMG Posted on 25/12/2010, 17:32




MARCOVALDO OVVERO LE STAGIONI IN CITTÀ



Autore: Italo Calvino
Data pubblicazione: 1963

TRAMA

Funghi in città
Marcovaldo scopre dei funghi cresciuti sulla striscia d'aiuola d'un corso cittadino. È eccitato dalla sua scoperta, crede di poter ritrovare un angolo di natura anche in città, un angolo solo a lui noto, e quando è finalmente arrivato il momento di raccogliere i funghi, scopre che altre persone sono arrivate prima di lui. L'episodio si conclude in una corsia d'ospedale, i funghi erano velenosi e i malcapitati rivali nella raccolta si ritrovano tutti accomunati da un identico destino.

Villeggiatura in panchina
Marcovaldo si sente soffocare in casa sua dove dormono tutti in una sola camera. Nota la panchina nel giardinetto pubblico sotto casa e questa panchina lo fa sognare: si immagina quanto sarà fresco e riposante dormirci tutto da solo. Una notte caldissima prende il suo guanciale e ci va. Ma la panchina è occupata… Infatti è seduta una coppia che litiga e deve aspettare a lungo prima di conquistarla, poi ci sono i rumori, i profumi, le puzze inconsuete che impediscono a Marcovaldo di trovare il sonno tanto desiderato.

Il piccione comunale
Ne Il piccione comunale Marcovaldo, alla fame, cerca di catturare delle beccacce sparpagliando della carta moschicida sul terrazzo del condominio. Catturerà solo un povero piccione comunale, venendo poi scoperto dall'amministratrice...

La città smarrita nella neve
In città è caduta la neve. Marcovaldo è incaricato di spalare il cortile antistante la ditta dove lavora. Marcovaldo sentiva la neve come amica, come un elemento che annullava la gabbia di muri in cui era imprigionata la sua vita. Sigismondo, più preoccupato a far calcoli per far bella figura con il caposquadra, gli insegnava ad ammucchiare la neve in un muretto compatto. Con i mucchi di neve Marcovaldo crea strade tutte sue. In una città tutta di neve, le case e le cose si potrebbero fare e disfare molto facilmente. Trasformato in pupazzo di neve da un carico di tre quintali piombatogli addosso dalle tegole ne esce gonfio ed intasato dal raffreddore. Per una tromba d'aria provocata da uno starnuto di Marcovaldo tutta la neve viene risucchiata in su e il cortile si ripresenta con le cose di tutti i giorni, spigolose ed ostili.

La cura delle vespe
Marcovaldo da un ritaglio di giornale usato per incartare il panino, scopre come poter curare i reumatismi col veleno d'ape; manda così i figli a catturare tante vespe, credendo che l'effetto sia lo stesso, ed allestisce un ambulatorio medico in casa. Sennonché, a causa dell'imprudenza del figlio Michelino (viene inseguito fino a casa da un nugolo di vespe inferocite) finiranno tutti all'ospedale.

Un sabato di sole, sabbia e sonno
Marcovaldo va sulle rive del fiume per fare sabbiature che lo sanino dai reumatismi. Invece che sulla riva, si fa seppellire fino alla testa dai figli sulla sabbia di una chiatta che, sciolti gli ormeggi e in balìa della forte corrente, atterra su una massa di bagnanti...

La pietanziera
Per la pausa di mezzogiorno, Marcovaldo si porta il cibo da casa in una pietanziera che la moglie gli prepara la sera con gli avanzi. Che delusione nel riconoscere quello che si è mangiato la sera prima!

Il bosco sull'autostrada
Una sera d'inverno molto fredda, la stufa non poteva più essere alimentata a causa della mancanza di legna. Marcovaldo decise di uscire in cerca di legna ma, trovandosi in una città, ne trovò ben poca. Al suo ritorno a casa trovò il caminetto funzionante: anche i figli erano usciti per cercare legna e, trovati dei cartelli pubblicitari, li avevano scambiati per alberi dato che, nati in città, non avevano mai visto un vero bosco.

L'aria buona
Il dottore dice che i bambini di Marcovaldo hanno bisogno di respirare un po' d'aria buona, a una certa altezza, di correre sui prati. Sulla collina della periferia della città c'è l'aria buona. Da lassù la città appare triste e plumbea. Parlando con alcuni degenti del sanatorio che sta sulla collina, Marcovaldo capisce come essi invece desiderino la città, non potendoci tornare a causa della loro salute.

Un viaggio con le mucche
L'estate in città è particolarmente afosa e Marcovaldo, non riuscendo a dormire nella soffitta troppo angusta in cui vive con tutta la sua famiglia, porge la sua attenzione verso i rumori notturni della città. La finestra è aperta, e l'orecchio sensibile del protagonista coglie, nei rumori ovattati dei rari passanti, un sentore di solitudine umana. Marcovaldo si sente solidale nei confronti di chi, come lui, sogna di evadere dall'oppressione urbana, e di alleviare il peso di una condizione economica familiare in bilico. Ed ecco che un suono di campane, un latrato di un cane, un rumore che assomiglia a un muggito, accendono la curiosità del manovale che, accompagnato dai figli, si precipita in strada per assistere a un evento inusuale: una mandria di mucche che attraversano la strada, guidate dai pastori verso le montagne. Solo di notte può avvenire questo tipo di intrusione anomala per la realtà cittadina e industriale, in cui la natura è soffocata dal cemento e dai fumi insalubri dell'esistenza contemporanea.
Michelino, il più grande dei figli di Marcovaldo sfugge all'attenzione del padre e segue quei curiosi animali. Nei giorni successivi Marcovaldo apprende che il figlio sta bene e sta trascorrendo le giornate sulle montagne, ed è così che Marcovaldo, schiacciato dal peso di un lavoro arido che a malapena riesce a garantirgli la sopravvivenza, invidia quasi Michelino, immaginando il figlio disteso sui prati al fresco, cullato da una natura generosa e prodiga di armonia e serenità. Al ritorno del figlio però, l'idillio vagheggiato da Marcovaldo si dissolve di fronte alla testimonianza di Michelino che profila una visione del mondo contadino pastorale tanto problematica quanto realistica. Michelino fa emergere come la vita contadina sia altrettanto dura di quella urbana, dominata dal duro lavoro, dalla fatica e dallo sfruttamento del lavoro che spegne ogni ardore e ogni possibilità di contemplazione di una natura che si rivela avara. Marcovaldo è un uomo di città, alla ricerca di uno stralcio di natura incontaminato dal cemento e dallo smog, di una dimensione idilliaca in cui fuggire, per scrollarsi di dosso i ritmi frenetici e soffocanti della sua vita. Per questo motivo sogna un ritorno alla natura, vagheggiando di vivere in un paradiso incontaminato dove godere della bellezza di un creato autentico, confortato da un senso di riposo e gaiezza. Ma come dimostra tale episodio,questo tipo di realtà non è mai esistita e solo un uomo di città come Marcovaldo, ingenuo sognatore, e ignaro di come è veramente la vita extracittadina, poteva concepirla.

Il coniglio velenoso
Marcovaldo ruba, in un ospedale, un coniglio contaminato da virus. Vorrebbe ingrassarlo per Natale, o magari fare un allevamento, ma è subito ricercato e nel frattempo il coniglio scappa. Abituato alla gabbia è disorientato: si aggira sui tetti, prima attratto da chi se lo vuole mangiare, poi quando si sparge l'allarme, cacciato o preso a fucilate.
Il coniglio decide di farla finita e si lascia cadere nel vuoto, ma finisce dritto tra le mani di un pompiere. Caricato sull’ambulanza si ritrova in compagnia di Marcovaldo, sua moglie e i suoi figlioli, ricoverati in osservazione per una serie di vaccini.

La fermata sbagliata
A Marcovaldo piace molto il cinema. Una sera lui esce dal cinema e si trova immerso in una nebbia spessissima. Va alla fermata del tram, prende il 30. Non si vede niente. Scende dal tram quando crede di essere arrivato ma ha sbagliato la fermata. Comincia a camminare… niente, non riconosce niente: è perduto. Arriva in un posto strano con luci nel suolo, trova un strano autobus… entra. Alla fine lui scopre che non è un autobus: è un aereo che va a Bombay, Calcutta e Singapore!

Dov'è più azzurro il fiume
Tutti gli sforzi di Marcovaldo erano diretti a fornire alla famiglia cibi non passati tra le mani infide di speculatori, cercava un posto dove l'acqua fosse veramente acqua e i pesci davvero pesci.
Che emozione quando, un giorno che si era smarrito, spostando certi rami, vide uno slargo di fiume di un colore azzurro che sembrava un laghetto di montagna! Nella sua rete le tinche correvano a capofitto. Che delusione per lui scoprire dalle parole di un tipo col berretto da guardia che il fiume era così azzurro per gli scarichi di una fabbrica di vernici. Marcovaldo rovesciò la sporta piena di pesci nel fiume. Qualche tinca, ancora viva, guizzò via tutta contenta.

Luna e gnac
Marcovaldo e la sua famiglia vivevano la notte ad intermittenza: venti secondi al chiaro di luna, alla ricerca di costellazioni, e venti secondi alla luce fosforescente del "GNAC", parte dell'insegna pubblicitaria al neon della Spaak-Cognac. Una sera, mentre Marcovaldo cercava di illustrare ai figli le varie costellazioni, Filippetto, guerriero armato di fionda e sassolini, con una sola raffica sconfisse il "GNAC". Passarono venti secondi, l'insegna non si accese e tutta la famiglia fu proiettata nello spazio buio e infinito, nella notte vera. La scritta luminosa sul tetto di fronte diceva solo "Spaak-Co". Ma il sogno durò molto poco e la mattina del secondo giorno arrivarono gli elettricisti. Nel frattempo alla mansarda di Marcovaldo si presentò un agente pubblicitario, il dottor Godifredo: Marcovaldo, pensando di dover pagare i danni arrecati all'insegna, d'improvviso dimenticò tutti i suoi rapimenti astronomici e cerò di giustificare il gesto dei suoi figlioli. Il dottor Godifredo ascoltava con faccia attenta e dichiarò di lavorare per la principale concorrente della Spaak, la Cognac-Tomawak. Fu così che Marcovaldo firmò un contratto che prevedeva la distruzione, da parte dei suoi figli, dell'insegna rivale ogni volta che questa fosse riparata, così da mandarla in rovina. L'agenzia pubblicitaria si rifiutò di fare altre riparazioni se non le venivano pagati gli arretrati; la scritta spenta fece crescere l'allarme tra i creditori; la "Spaak" fallì. La luna tornò a splendere in tutto il suo splendore nel cielo di Marcovaldo fino a quando non arrivarono nuovamente gli elettricisti per montare la nuova insegna: Cognac-Tomawak che segnava la sconfitta di Marcovaldo e la vittoria della Natura artificiale, ora le notti di Marcovaldo duravano solo due secondi.

La pioggia e le foglie
Alla ditta in cui lavora, Marcovaldo si prende cura di una piantina posta nell'atrio. Messa in cortile, la pianta trae ogni giorno profitto dalla pioggia. Marcovaldo, per non trascurarla, la porta a casa; attraversa la città portando con sé la piantina sulla sua bicicletta, inseguendo nuvole.
Nel giro di un fine settimana, la piantina cresce tanto da sembrare un albero su due ruote. Diventata ingombrante nell'ingresso della ditta, Marcovaldo pensa che sia meglio restituirla al vivaio in cambio di una più piccola e ricomincia la corsa per la città senza decidersi ad imboccare la strada del vivaio…
Cessata la pioggia, la pianta è come sfinita per quell'impetuoso sforzo di crescita e ad una ad una lascia cadere le sue foglie che ingialliscono senza che Marcovaldo se ne accorga. Quando questi si ferma, si gira e si rende conto che della pianta non resta che uno smilzo stecco.

Marcovaldo al supermarket
Marcovaldo va con tutta la famiglia per osservare gli altri fare spese, dal momento che essi non possono permetterselo. Ma la voglia di sentirsi per un attimo come gli altri gioca alla famiglia uno scherzo che finirà molto male...

Fumo, vento e bolle di sapone
I figli di Marcovaldo pensano di arricchirsi accaparrandosi i buoni delle reclame dei detersivi che danno il diritto a ritirare campioni gratuiti, rivendendoli. Però l’operazione fallisce. Le cose si complicano; la trasformazione dei buoni in merce va per le lunghe.
Tra gli incaricati delle ditte inoltre non tarda a spargersi la voce dell’esistenza di una concorrenza sleale. Da un momento all’altro il detersivo diventa pericoloso come dinamite e per sbarazzarsene i bambini gettano la polvere nel fiume. Il sapone, sciogliendosi, diventa schiuma che, sotto l’azione del vento, libera bolle di sapone nell’aria, le quali a loro volta si confondono col fumo nero delle ciminiere. Poi le bolle svaniscono e non resta che il fumo nero delle ciminiere.

La città tutta per lui
Ad agosto la città è vuota, nessuno le vuole più bene, ed è tutta per Marcovaldo. La domenica mattina, in giro, si ritrova in una città diversa, dove può camminare in mezzo alla strada e attraversare col rosso. Prende a seguire una fila di formiche, il volo di un calabrone. La città sembra impossessata da abitatori fino allora sconosciuti.
Capisce che il piacere non è tanto fare tutte quelle cose insolite, quanto il vedere tutto in un altro modo: le vie come fondovalli, o letti di fiumi in secca, le case come blocchi di montagne scoscese, o pareti di scogliera.
Ma si imbatte in una troupe che gira un servizio giornalistico. A Marcovaldo sembra, per un momento, che la città di tutti i giorni abbia ripreso il posto di quella, per un momento, intravista o forse solamente sognata.

Il giardino dei gatti ostinati
La città dei gatti vive dentro alla città degli uomini. Una volta le due città coincidevano, uomini e gatti usavano gli stessi luoghi; oggi gli itinerari dei gatti devono sfruttare i passaggi lasciati tra palazzo e palazzo, a causa del forte traffico. Marcovaldo è amico di tutti i gatti che incontra e riesce ad intuire legami, intrighi, rivalità tra loro. Un giorno un suo "amico soriano" lo porta alla scoperta di un grande ristorante. Trascurando gli inviti del gatto che voleva guidarlo verso la cucina, Marcovaldo vede che al centro del salone c'è una peschiera dove nuotano le trote che dovranno essere cucinate; getta una lenza, cattura un pesce ma il soriano lo acchiappa in un baleno. Inseguendo il gatto giunge fino al giardino di una vecchia casa in rovina in mezzo alla città, pieno di gatti.
Nell'ultima vecchia casa rimasta tra i grattacieli del centro, vive una misteriosa vecchietta assediata dai gatti. Marcovaldo suona alla sua porta per avere indietro la sua trota; dalla finestra si intravede un volto che a Marcovaldo sembrò quello di un gatto. La vecchia marchesa è decisa a non ridargli alcunché e gli racconta che vorrebbe cambiare casa, ma i compratori sono spaventati dai gatti. Marcovaldo si accorge che è tardi e torna al lavoro.
L'inverno successivo, i miagolii dei gatti attirano l'attenzione dei passanti: la vecchietta è morta. La primavera successiva iniziano i lavori per la costruzione di un moderno palazzo, ma i lavori sono continuamente ostacolati dai gatti e dagli altri animali della zona, che sembrano opporsi all'avanzare del cemento, a difesa del loro ultimo luogo di ritrovo.

I figli di Babbo Natale
Marcovaldo per conto della Sbav gira porta a porta vestito da Babbo Natale a portare regali, accompagnato dal figlio Michelino che è deciso a fare un regalo ad un bambino povero. Dopo aver fatto visita al figlio di un noto industriale, viziato e ricchissimo quanto solo e triste, Michelino, non avendo ben chiaro il concetto di bambino povero, riconosce in lui un vero bambino povero così gli regala un martello, un tirasassi e dei fiammiferi con cui inizia a distruggere tutta la sua casa. Il giorno dopo Marcovaldo si presenta al lavoro temendo di essere licenziato in tronco per l'accaduto, invece viene a sapere che l'industriale padre del bambino viziato è rimasto fortemente colpito da quei regali, gli unici in grado di far divertire suo figlio, tanto che la Sbav il giorno stesso cambia tipo di produzione lanciando il «regalo distruttivo», che tra l'altro ha anche il pregio di distruggere altri oggetti «accelerando il ritmo dei consumi e vivacizzando il mercato».
 
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